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America in shutdown: limite o chance?

Bagarre al Congresso: il dibattito sull'Obamacare e il suo futuro portano allo "spegnimento" dei servizi non essenziali.

L’ombra si aggirava in questi giorni e i termini di scadenza erano chiari: gli Stati Uniti sono entrati in shutdown per la ventesima volta dal 1975. 

Un “bisticcio” politico ha portato l’America di Donald Trump ad entrare nella cosiddetta posizione di “spegnimento”. Vale a dire la chiusura automatica delle attività governative non essenziali dopo la mancata approvazione della legge di bilancio, con il 1° ottobre come termine, giorno di inizio del nuovo anno fiscale. 

Shutdown: stop ai servizi non essenziali

In sostanza, con questa manovra gli Stati Uniti hanno congelato il 27 per cento della spesa pubblica federale, pari circa a 1000 miliardi di dollari; in questo modo, i fondi rimanenti servono a mantenere attivi i cosiddetti servizi essenziali: forze armate, controlli di frontiera e personale medico di emergenza. A subire la tagliola e quindi la chiusura temporanea sono inoltre i musei e i parchi nazionali.

Secondo le stime della BBC, circa 430mila lavoratori appartenenti ai Dipartimenti non essenziali entrano da oggi in congedo forzato, un licenziamento temporaneo. E non è tutto, altri 480mila lavoratori appartenenti ai Dipartimenti essenziali dovranno comunque lavorare senza però percepire il proprio stipendio, ma una volta rientrati in ufficio riavranno le retribuzioni perse. Il tutto con un costo di 400 milioni di dollari al giorno.

Una battaglia politica del Congresso che, a seconda della durata, potrebbe causare uno shock economico non indifferente

Una battaglia politica: tra Obamacare e One Big Beautiful Act

Ad avere il coltello dalla parte del manico questa volta sono i democratici. Nonostante i repubblicani detengano la maggioranza, al Senato servivano 60 voti per approvare la legge di bilancio e alzare il tetto del debito, esattamente 7 voti in più di quelli a disposizione del “Grand Old Party”. Questo solitamente significa una cosa soltanto: condizioni in cambio di voti

E questa volta i dem hanno giocato duro. Con 53 voti favorevoli e 47 contrari, i repubblicani hanno bocciato la proposta dell’opposizione che prevedeva l’estensione dei sussidi dell’Affordable Care Act, l’Obamacare, in scadenza a fine anno. In sostanza, i democratici hanno messo gli avversari alle strette: o accettate il mantenimento dei sussidi, o andiamo in shutdown. I repubblicani hanno accusato i democratici di “voler far pagare agli americani la sanità degli immigrati irregolari”, mentre i democratici hanno risposto che i repubblicani “rifiutano di garantire l’assistenza sanitaria degli statunitensi”, come dichiarato su X da Chuck Schumer, leader della minoranza democratica al Senato.

Anche con i migliori propositi di mantenere una sanità per tutti, sono ancora diversi i problemi che questa legge ha introdotto, tra cui un aumento del premio per chi non riceve i sussidi, una sorta di monopolizzazione del mercato e soprattutto la promessa mai mantenuta di abbassare i costi della sanità. Ora, i democratici hanno fatto la prima battaglia politica nel secondo mandato di Trump, con un piccolo dettaglio: hanno lasciato a casa circa 1 milione di americani. Ma in ottica liberale, questa potrebbe essere un’occasione

Il piano MAGA è stato chiaro a riguardo: cancellare l’Obamacare, come parzialmente avvenuto nel primo mandato, per sostituirlo definitivamente con il One Big Beautiful Bill Act approvato nel 2025. Tagli alla spesa pubblica, esclusione di alcune categorie dalla copertura (tra cui chi detiene uno status legale temporaneo, come i richiedenti asilo), maggiore responsabilizzazione individuale e una spinta significativa verso il settore privato potrebbero conciliare con lo shutdown.

Tuttavia, quella che sembra essere una riforma sostitutiva più liberale è in realtà anch’essa in serio conflitto con il debito americano. Le estensioni delle aliquote fiscali (TCJA) vengono rese permanenti per i redditi più bassi, e questo costa centinaia di miliardi di dollari per i mancati introiti. Inoltre, i tagli agli incentivi green e al welfare possono sì compensare, ma non a sufficienza. Una riforma che ha il sapore di populismo fiscale: si tagliano le tasse senza ridurre in modo strutturale la spesa.

Shutdown: un’occasione per tornare liberali

Per quanto difficile da digerire, le condizioni dello shutdown obbligano lo Stato a mantenere attivi solo i servizi essenziali, ed è noto a tutti il principio di vantaggio comparato: se ci si specializza in qualcosa l’efficienza è dietro l’angolo. Ecco che di conseguenza, un Javier Milei trarrebbe profitto e ottimismo da una situazione del genere, levando potere allo statalismo e reintroducendo ciò che ormai manca sempre più spesso al mondo libero, ovvero la libertà economica

Troppo spesso viene dato per scontato che la chiusura di diversi Dipartimenti, o Ministeri, e di conseguenza meno introiti nelle casse pubbliche possa essere un problema. Ma ciò è errato, e lo pseudosocialismo o la socialdemocrazia adottata un po’ ovunque in Occidente ne sono la prova. Uno shutdown potrebbe evidenziare le inefficienze e gli sprechi, rafforzando privatizzazioni o semplificazioni burocratiche. Ma più di tutto tenderebbe a riportare in auge un valore ormai remoto nella società attuale: la responsabilità individuale

Ebbene sì, laddove lo Stato può garantire i servizi essenziali, adottando quindi una concezione minarchica, non solo il privato può emergere in maniera significativa con una minore pressione fiscale, ma il cambiamento culturale che ne conseguirebbe sarebbe ancora più impattante; verrebbe meno quello che in gergo viene chiamato “Stato-mamma”, quell’entità onnipresente che detta legge e fornisce sussidi per ogni problematica dell’individuo. 

Ora, il problema qui è un altro, ovvero che lo shutdown non è volontario e di conseguenza non c’è dietro alcun piano per il ridimensionamento dello statalismo e del welfare. Inoltre, lo “spegnimento” più longevo è stato proprio durante il primo mandato Trump, a cavallo tra il 2018 e il 2019, che durò 35 giorni. Anche arrivando a questa durata, non vi sarebbero comunque le condizioni necessarie per notare alcun miglioramento.

Importante considerare anche il brusco impatto che avrebbe questa rivoluzione, e che quindi potrebbe essere preferibile un passaggio graduale, magari restando in ottica del famigerato welfare per aiutare la transizione di quei dipendenti statali che, inevitabilmente, verrebbero licenziati e sarebbero costretti a cambiare lavoro. 

Tuttavia, per chi come noi si ostina a voler idealizzare una società basata sui valori della libertà e dell’individualismo, questo potrebbe essere un ottimo terreno di prova per capire come gli attori protagonisti si comporteranno e quanto ci metteranno a percorrere la retta via, ovvero quella dell’iniziativa privata.

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