A pensar male, così recita il proverbio, si fa peccato. Dubitare o porre quesiti sulla buonafede di una iniziativa, quella della Global Sumud Flotilla, con dichiarati scopi filantropici risulta, agli occhi del grande pubblico che assiste ai notiziari in televisione o sui social, di cattivo gusto e forse, per taluni, addirittura inaccettabile. Parliamo di una delle più grandi missioni umanitarie della storia: 44 paesi coinvolti, centinaia di attivisti su una cinquantina di navi. L’obiettivo, ambizioso, è quello di forzare il blocco navale israeliano alla Striscia di Gaza per portare aiuti alla popolazione civile. Davanti alle sofferenze, innegabili, del popolo palestinese, farsi delle domande critiche, andare oltre le immagini strazianti che ogni giorno circolano, affrontare con lucidità e obiettività ciò che le grandi testate, da mesi, fanno passare per verità granitica, è estremamente difficoltoso. Si fa peccato.
Ebbene, io sono un peccatore di natura. Non mi accontento di subordinarmi a chi, con le buone o con le cattive, adduce l’insindacabilità di una narrazione univoca e priva di contraddittorio. Simile a quella che ha coinvolto Eyal Mizrahi, Presidente dell’associazione Amici di Israele il 16 settembre nel programma “è sempre Carta Bianca” su Rete 4.
Non mi piego dinnanzi a chi, come è avvenuto all’Università di Pisa all’interno della quale un docente è stato picchiato a causa delle sue opinioni politiche, vorrebbe imporre la propria visione con la violenza, con le intimidazioni, con le urla che sovrastano ciò che servirebbe in un momento come questo, ossia il dialogo razionale basato sui fatti.
Nessuno mette in discussione che la situazione nella Striscia di Gaza sia tragica. E che dunque il governo guidato da Benjamin Netanyahu sia andato oltre la proporzionalità legata al diritto sacrosanto alla difesa nazionale.
È tuttavia inaccettabile e pericoloso lasciar passare il messaggio che chiunque faccia delle domande, metta in discussione numeri, dati, situazioni, narrazioni, immagini, intenzioni e definizioni perorate da chi, nella buona e nella malafede, sostiene la cosiddetta causa palestinese, sia da considerare “complice di genocidio”. Dunque più un nemico da abbattere che un avversario con cui confrontarsi.
A dispetto di quanto veicolato da circa un mese dai giornali e dalla cricca progressista di questo paese, la GSF ha parecchi scheletri nell’armadio. Ombre, opacità, mancanza di trasparenza e di chiarezza sui fini stessi dell’intera missione. Tutti aspetti che espongono gli alfieri della “parte giusta della storia” sotto una luce diversa. Una luce molto inquietante.
Ciò che non torna di Greta&Co

La puzza di bruciato sul Mediterraneo si avvertiva da settimane. A chiunque abbia un occhio per vedere è parsa molto strana l’espulsione della cronista del quotidiano La Stampa Francesca Del Vecchio, lo scorso 12 settembre, dalle navi della Global Sumud Flotilla. La motivazione, riferita dagli organizzatori dell’impresa internazionale, sarebbe stata la rivelazione, ad opera della giovane reporter, di “informazioni sensibili”.
Singolare questo genere di argomentazioni da parte di chi ha ricevuto lodi e da ONG per i diritti umani come Amnesty International. Organizzazione che ha denunciato i soprusi e le arbitrarietà che i vari governi israeliani avrebbero rivolto verso giornalisti da tutto il mondo, a cui “non viene permesso di entrare a Gaza” ci dice chiunque. Se poi si scopre che la ragione della cacciata è da imputarsi al fatto che Del Vecchio avrebbe rivelato al mondo il luogo dove si svolgeva l’esercitazione delle navi “violando le regole che ci eravamo dati” (così la portavoce italiana della Flotilla Maria Elena Delia) viene da sorridere.
Nessuna persona onesta intellettualmente prenderebbe seriamente tale giustificazione, in quanto i movimenti del naviglio sono visibili via satellite in tempo reale. Questo episodio spiacevole, che segna un punto basso nella storia del giornalismo, è stato solo l’inizio della diffusione del banco di nebbia che ha avvolto le variopinte vele di quelle imbarcazioni.
Le Forze Armate dello Stato d’Israele (IDF) avrebbero rinvenuto, durante una delle operazioni militari nella Striscia di Gaza, documenti che dimostrerebbero la diretta connessione tra la Global Sumud Flotilla e l’organizzazione terroristica internazionale nota come Hamas. Di fatto sarebbe la PCPA (Palestinian Conference for Palestinians Abroad) associazione no profit istituita nel 2018 che il governo di Gerusalemme ha definito come l’organo di rappresentanza di Hamas all’estero, l’anello di collegamento tra i rappresentanti della Flotilla e il gruppo islamista che controlla l’enclave palestinese dal 2007. A confermarlo, secondo le autorità dello stato ebraico, ci sarebbe una lettera firmata da Ismail Haniyeh, defunto capo dell’Ufficio Politico di Hamas, nella quale la PCPA viene lodata e viene definita come unita indissolubilmente al “movimento”.
È stato altresì trovato un elenco di membri di Hamas che risulterebbero appartenere anche alla Conferenza per i Palestinesi all’Estero. Tali personaggi, casualmente, sono tutti legati per vie più o meno dirette alla Global Sumud Flotilla. Tra i nomi eccellenti presenti ci sarebbero quelli di Zaher Birawi e di Saif Abu Kashk. Il primo, segnato con il numero 19 nel documento, è tra i più importanti membri della missione umanitaria negli ultimi quindici anni, già attenzionato da un’inchiesta del quotidiano britannico Telegraph, che ne sosteneva uno stretto legame con gli islamisti per tramite della già citata PCPA. La sua foto figura in bella mostra con lo stesso Haniyeh.
Invece Kashk, numero 25 nel documento, è amministratore delegato di Cyber Neptune, società spagnola di facciata che controlla decine delle navi della Sumud operanti attualmente.
Non sono mancate le smentite, i distinguo, le accuse di “propaganda” da parte degli organizzatori, tra cui la stessa Maria Elena Delia. Così non la pensa l’ex Capo di Stato Maggiore dell’Aeronautica Militare e presidente della fondazione ICSA, Generale Leonardo Tricarico, esperto in materia di intelligence, sicurezza e difesa, il quale ha confermato quanto dichiarato dalle autorità israeliane. Naturalmente c’è chi, nei quotidiani e nelle agenzie stampa di sinistra, reputa a priori come infondate e poco credibili le conclusioni tratte dall’IDF in materia. È ovvio, per molti, che Gerusalemme abbia l’interesse a condurre depistaggi per screditare l’azione degli attivisti propal a bordo delle navi.
Costoro dimostrerebbero onestà intellettuale se facessero lo stesso ragionamento con il Ministero della Sanità di Gaza, organo controllato da Hamas, unico fornitore dei dati sui decessi nella Striscia. Ministero che non fa alcuna distinzione tra caduti miliziani e civili (tutti i morti sono classificati come “Shaheed”, martiri) e che è la principale fonte di informazione per tutte le testate internazionali mainstream.
Come mai a dei terroristi si crede a priori mentre nel caso di un governo democraticamente eletto si fanno i distinguo e si storce il naso oppure, per convenienza, non si espone proprio la notizia?
Ma poniamo pure il caso che ai dati raccolti da Tsahal non si voglia credere per partito preso. Il dilemma su chi finanzi la Flotilla rimane. Si, perché se è vero che i fondi raccolti da privati negli ultimi mesi ammonterebbe a oltre 3 milioni di euro, non è chiaro se ci sia altro al di là di quanto dichiarato dagli organizzatori dell’impresa sul proprio sito internet, nel quale si precisa che gli attivisti non ricevono alcun sostegno da governi o partiti politici, essendo quindi la missione, almeno a detta loro, scevra di condizionamenti da lobby e gruppi d’interesse.

Certo, fa riflettere che tra i fondatori del blocco di attivisti ci sia l’IHH (Insani Yardim Vakfi / Humanitarian Relief Foundation), ONG turca considerata pericolosamente vicina alla galassia islamista legata al partito di governo AKP di Rejep Tajip Erdogan (Nordic Monitor), il quale non fa assolutamente segreto della sua vicinanza alla causa palestinese più radicale. È inoltre ampiamente dimostrata la convergenza dell’IHH con i Fratelli Musulmani. La stessa è definita come organizzazione terroristica dallo Stato d’Israele e dalla Repubblica Federale Tedesca, la quale ha messo al bando la sezione berlinese dell’associazione. Inoltre anche l’intelligence degli USA e quella francese (DOGSE) avrebbero attenzionato l’organizzazione. Entrambe hanno confermato la vicinanza dell’IHH, a livello soprattutto ideologico, ad Hamas e più in generale all’islamismo politico.
Fa riflettere la direzione della sezione del Sud-Est asiatico della Flotilla (Sumud Nusantara) da parte dell’attivista malese Muhammad Nadir Al Kuri Kamaruzaman, fondatore e CEO delle ONG MyAqsa Defenders e Cinta Gaza Malaysia. Tali associazioni hanno, fin dal 2021, finanziato le strutture governative di Gaza, ossia Hamas. I fondi erogati sarebbero stati utilizzati sia per scopi umanitari (costruzione di scuole, ospedali eccetera) sia alla “difesa della Striscia”. Ciò però si traduce in un’ammissione di invio di denaro alle Brigate ʿIzz al-Dīn al-Qassām, l’ala militare di Hamas. Si tratta della principale responsabile del Massacro del 07 ottobre 2023 e delle azioni terroristiche e degli atti ostili contro Israele.
Fanno riflettere le imbarazzanti fotografie che ritraggono membri influenti della Global Sumud Flotilla in compagnia di esponenti di Hamas e del terrorismo palestinese. Basti pensare a Thiago Avilà, attivista brasiliano di estrema sinistra a bordo delle navi partite da Barcellona, che si fa i selfie con Leila Khaled, terrorista membro dell’FPLP (Fronte Popolare della Liberazione della Palestina) negli anni ’70 e responsabile di numerose stragi e dirottamenti aerei. “La mia persona preferita” scrive di lei Avilà nella storia pubblicata su Instagram che li ritrae insieme. Il signore è lo stesso che, lo scorso 23 febbraio, ha partecipato spontaneamente al funerale di Hassan Nasrallah a Beirut, Rais dell’organizzazione terroristica sciita Hezbollah.
C’è poi Wael Nawar, membro del Comitato Direttivo del GSF, portavoce e coordinatore della Maghreb Sumud Flotilla (ex Convoglio Sumud). Nel giugno 2025, Nawar si sarebbe unito ad alcuni attivisti di Sumud presso l’ufficio di rappresentanza di Hamas ad Algeri, dove avrebbe incontrato Youssef Hamdan, il rappresentante di Hamas in Algeria, e Nadir al-Qissi, descritto dai media come uomo dell’FPLP in Algeria. Alcune foto dell’incontro mostrerebbero Nawar che indossa sciarpe con il marchio di Hamas.
21 grammi di ipocrisia

A nessuno, nel mondo progressista, interessa di tali sconcertanti evidenze. Nessuno si è domandato, in maniera lecita, da dove potessero venire determinati fondi. Si è scelto di portare avanti un’azione dimostrativa, in maniera poco incisiva visto il finale che è emerso nelle ultime ore ma dall’eco mediatica notevole. Non metto in dubbio che svariati degli attivisti a bordo delle navi della Global Sumud Flotilla siano in buonafede e che abbiano a cuore, in modo sincero, la sorte della popolazione di Gaza.
Tuttavia è abbastanza chiaro che la spedizione di consegna aiuti, come viene spacciata la missione, sia secondaria rispetto al messaggio ideologico e politico che si vuole far passare. Stiamo parlando di 21 grammi di cibo per ogni abitante della Striscia. 21 grammi.
La distribuzione di derrate alimentari è in realtà chiaramente un pretesto per dare visibilità a un’azione di protesta in grado di mettere in luce positiva le proprie rivendicazioni politiche in patria.
E chi si è messo alla testa di tale macchina di propaganda ne é perfettamente consapevole. Da Greta Thunberg ai Deputati ed Eurodeputati Arturo Scotto, Annalisa Corrado e Benedetta Scuderi, di Partito Democratico ed Alleanza Verdi e Sinistra. Passando per giornalisti come Saverio Tommasi di Fanpage, alla scrittrice irlandese Naoise Dolan; gli attori Liam Cunningham ed Eduardo Fernández; l’attore svedese Gustaf Skarsgard; l’ex sindaca di Barcellona Ada Colau; il politico sudafricano Mandla Mandela; il premio Nobel tunisino Ghandi Balbouli.
Nomi illustri, che offrono al grande pubblico sui social una cornice raffigurante un bellissimo ideale. I loro followers, con sguardo ed animo fervido da rivoluzionari, li guardano. Forse vorrebbero essere nei loro panni, al posto loro, gettarsi a capofitto in un’avventura che sfiderebbe la logica contemporanea di un mondo fermo sul conformismo.
Si credono anticonformisti, ribadiscono il loro essere “controcorrente”… eppure tutti sono dalla loro parte. Non si parla d’altro, sui giornali, nelle università, nel mondo accademico e intellettuale e dello spettacolo. Maurizio Landini promette di fermare il paese se la Flotilla dovesse venire toccata. Stiamo parlando del capo della più grande confederazione sindacale del paese, la CGIL. Il 03 ottobre l’Italia è stata paralizzata da uno sciopero generale.
C’è qualcuno che in patria li ostacola? E chi? Il Governo italiano sarebbe responsabile delle sciagure dei loro beniamini? E in che maniera? La colpa sarebbe forse quella di non aver forzato il blocco navale israeliano imposto alla Striscia di Gaza dal 2007? Del resto lo ha detto chiaramente Nicola Fratoianni in una puntata di Tagadà su LA7 qualche giorno fa. È questo quel che si aspira? Si vuole fare guerra allo stato ebraico? Perché gli organizzatori della spedizione non hanno affidato gli aiuti umanitari al Patriarcato di Gerusalemme sotto la mediazione del Cardinale Pizzaballa, attivo e impegnato in prima linea sul territorio per assistere i gazawi?
La retorica antisionista e anti sistema evidentemente precede quella filantropica. È necessario, a quanto pare, arrivare a una situazione simile a quella che interessò la nave turca Mavi Marmara, nel 2010. Attivisti che rifiutano di fermarsi davanti all’invito del Governo israeliano di fermarsi. Resistenza; spari; morti. Risultato: visibilità internazionale per anni.
In Italia questo scontro si sta trasformando in un basso gioco delle opposizioni. Esse, per racimolare qualche voto e per tentare la spallata alla coalizione di centrodestra fanno di tutto per mostrarsi vicini ad un’iniziativa così sentita. Le sofferenze del popolo palestinese sono, purtroppo, utilizzate anche da chi della Global Sumud Flotilla fa parte. Un potente strumento di autoaffermazione nei sondaggi, degli algoritmi e nei salotti bene del mondo. C’è il loro stuolo di adulatori in patria pronti a dar sfogo alla propria sete di vendetta. A soddisfarla contro chiunque la pensi diversamente da loro, al grido di “blocchiamo tutto”.
E poi ci sono i bambini di Gaza, a cui gli aiuti delle navi della Flotilla non arriveranno mai. Chi diceva di averne a cuore la sorte ha preferito il brivido dello scontro con l’IDF.



