L’assassinio di Charlie Kirk è un evento che, volente o nolente, ha fermato l’intero mondo della politica. Non si tratta di un semplice pensiero compassionevole per un brav’uomo di 31 anni che ha perso la vita in maniera brutale, ma c’è qualcosa di più grande dietro. Molto più grande.
Come purtroppo accade sempre più frequentemente, Charlie era una figura estremamente polarizzante: amato o odiato. Difficilmente passava inosservato, incarnando la celebre “via di mezzo” solo in rare occasioni. Giudizio positivo o meno, le capacità comunicative del giovane neocon erano semplicemente fuori dal comune.
Charlie Kirk rappresentava l’America più muscolare e tradizionalista? Assolutamente sì. Ma rappresentava anche l’America che ha dettato legge nella storia del mondo, quella terra fondata sui principi lockiani che tanto adoriamo: vita, proprietà e libertà.
Spesso bastano tre cose per cambiare una generazione di ragazzi: una sedia e due microfoni, uno per te e uno per il tuo avversario. Perché questo era il metodo che contraddistingueva il giovane conservatore dell’Illinois; non si trattava di semplici comizi, dove si può scegliere di ignorare un contestatore. Qui si trattava di uno contro tutti.
Una persona contro migliaia di studenti, a volte incazzati, che nella furia della loro giovane età (spesso condita con una forte dose di ignoranza propagandistica) chiedevano come potesse essere accettabile che una persona avesse un’opinione diversa dalla loro.
Con tutta la calma e la pazienza del mondo, Charlie li scrutava e afferrava il microfono. Il resto è ormai storia.
Prove me wrong
I terribili video della sua esecuzione hanno suscitato scalpore in tutto il globo. Sono diversi i dettagli che rimangono impressi dopo giorni dall’accaduto.
Charlie Kirk è morto indossando una maglietta con la scritta “Freedom”. La libertà era la sua missione, e chi ha premuto il grilletto ha deciso che questa libertà finisce quando sei un potenziale pericolo ideologico troppo grande da abbattere.
D’altronde, durante un banchetto allestito con l’ormai iconico slogan “Prove me wrong”, una signora gli chiese: “Perché lo fai?”, e Charlie rispose: “Perché quando smettiamo di avere un contatto umano con chi è in disaccordo con noi, in quel momento cessa il dialogo e inizia la violenza”. Ma questa volta, purtroppo, si sbagliava. Charlie stava facendo il suo lavoro quando un omicida ha deciso di togliergli la vita. Charlie era in mezzo ai suoi ragazzi, pronto a dibattere non per schernirli, ma per educarli e fornire loro una visione alternativa, che non per forza deve essere quella corretta, ma che sicuramente deve esistere in un mondo spesso e volentieri unilateralmente politicizzato come quello dei college e delle università.
C’è chi poi sostiene, inutilmente date le circostanze, che la sua forma di comunicazione fosse aggressiva, sofistica e un chiaro esempio di “hate speech”. Forse queste persone non hanno compreso a fondo il significato di libertà di espressione, tantomeno il diritto di rimanere in silenzio.
Charlie Kirk era un attivista, un debater, un comunicatore politico, non una voce della scuola socratica. Non era suo compito elevarsi a paladino della verità, e questo lo ha sempre rimarcato. Ciò che viene definito “discorso d’odio” molto spesso è sostanzialmente qualsiasi visione non conformista della società, opinioni scomode che agli improvvisati guardiani della democrazia non piacciono perché considerate estreme.
Beh, cari lefties, forse dovreste emigrare dove realmente è lo Stato a decidere cosa potete dire. Attenzione però: lo Stato non siete voi. L’escalation della distruzione del pluralismo porta solo a una conseguenza: la progressiva riduzione del campo del contropensiero.
Oggi è il “negazionista climatico e disinformatore sul Covid” Charlie Kirk (come vergognosamente definito da Tgcom nel giorno della sua pubblica esecuzione) a essere considerato un pericolo per la democrazia. Ma domani? Quale sarà il confine? Forse chi predilige uno Stato minimo? O chi sostiene Israele nel conflitto in Medio Oriente? O forse chi difende il free speech? Ve lo dico io: tutto può essere, avanti di questo passo.
“Chi semina vento, raccoglie tempesta”
La frase più letta sui social in questi giorni è una soltanto: “Chi semina vento, raccoglie tempesta.” Oltre al citazionismo biblico del libro di Osea, come a voler indicare che Dio lo avesse avvertito di essere sulla strada sbagliata, ciò che mette i brividi è la giustificazione di tale atto.
Perché sì, affermare una cosa del genere è come incolpare una donna violentata di aver istigato l’aggressore indossando una minigonna.
Finché la colpa delle azioni violente verrà spartita al cinquanta per cento tra il delinquente e la vittima, solo perché quest’ultima godeva dei propri diritti naturali, fino a quel momento non potrà esistere una civiltà degna di essere definita all’avanguardia.
Secondo gli oppositori, il seme della discordia piantato da Kirk sarebbe quello delle armi, del conservatorismo e del patriottismo americano.
Più volte si trovano commenti che citano una frase di Charlie: “Penso che valga la pena di considerare il costo di alcune morti causate dalle armi da fuoco per proteggere il Secondo Emendamento”. Da lì parte poi la carrellata di insulti e prese in giro, con un mezzo sorriso accentuato che indica la coincidenza della sua morte per mano delle armi da fuoco. Ebbene, l’affermazione sul Secondo Emendamento è perfettamente logica.
Il possesso di armi negli Stati Uniti è un diritto, non un privilegio, e come tale è sancito dalla Costituzione ed è pertanto inviolabile e fondamentale per la difesa della proprietà privata, dell’autodifesa e della difesa in caso di uno Stato tirannico. L’offesa, o l’omicidio, non sono previsti nel Bill of Rights.
Sarebbe fazioso e intellettualmente disonesto non evidenziare le complessità di questo tema, come ad esempio l’estrema facilità con cui un minore può entrare a contatto con le armi da fuoco, o l’opaca esistenza del background check, un controllo sulla fedina da parte dell’FBI al momento dell’acquisto. Ma non è forse moralmente più corretto punire l’abuso piuttosto che vietare l’utilizzo a tutti? Confiscare un diritto anche a coloro che, grazie a una pistola in casa, si sono salvati la vita?
Si può dibattere sulla regolamentazione, come d’altronde faceva Charlie, ma dare la colpa del suo omicidio alle sue idee su questo tema è come puntare il dito contro un automobilista ubriaco che commette un omicidio stradale. In quel caso credo che verrebbe naturale a tutti punire il trasgressore e non requisire le patenti dei cittadini.
Charlie Kirk, il mai Presidente
Non prendiamoci in giro: questo ragazzo aveva tutte le caratteristiche per diventare il prossimo Presidente degli Stati Uniti, e il suo assassino lo sapeva bene. L’associazione Turning Point ha risvegliato il conservatorismo giovanile americano, e questi meriti vanno tutti a Charlie Kirk. Un conservatorismo funzionale, non quel bigottismo che opprime sotto una campana dorata, ma un’ideologia che, attraverso saldi principi morali, avrebbe portato a una visione molto più liberale della società.
“Individui solidi creano famiglie forti, e famiglie forti creano uno Stato minimo.” Questa era l’essenza del suo pensiero: ripristinare un ordine per cui lo Stato non debba occuparsi dell’individuo, perché l’individuo deve essere in grado di camminare da solo o con l’aiuto dei propri cari. Si sa che conservatorismo e liberalismo spesso sono due demoni da gestire interiormente, ma se uno è utilizzato in funzione dell’altro, ecco che il binomio può funzionare.
Tuttavia, l’America sotto la sua guida non esisterà mai. E ancor peggio, non avrà mai la possibilità di rivoluzionare il Partito Repubblicano, come tanto auspicava.
In momenti bui come questi, è bene ricordare le parole di Ronald Reagan: “Nessun arsenale e nessuna arma negli arsenali del mondo è così formidabile quanto la volontà e il coraggio morale degli uomini e delle donne liberi.”


