“Lei non prende più del 5 %, senza Berlusconi non andate da nessuna parte” diceva qualche anno fa un uomo chiamato Andrea Scanzi.
Lui rimane dov’è, barcamenandosi nelle sue cinquantuno sfumature di nulla.
Lei è a Palazzo Chigi da tre anni. Per lo stesso periodo il suo partito è stato il primo nei sondaggi. Lo è tutt’ora.
Giorgia Meloni aveva solo quindici anni quando ha iniziato a fare politica. Era poco più che una bambina, e già faceva volantinaggi per il Fronte della Gioventù, organizzazione giovanile del Movimento Sociale Italiano. Sempre a testa china sui suoi principi, determinata, caparbia. Così la descrive chiunque la conosce. Figura divisiva, su questo non ci sono dubbi. Si può essere in disaccordo con molte delle cose che sostiene e ha sostenuto
Chi scrive non fa mistero, da liberale, della sua distanza da diverse delle posizioni della Destra Sociale, a cui la Premier storicamente appartiene. Un conservatorismo nazionale che, nel bene e nel male, ha origini diverse, punti di riferimento, radici, priorità distinte, da quello classico. Non si può, tuttavia, negare una cosa: questa piccola grande donna è una combattente che ha sempre lottato per le sue posizioni, che ha fatto la “gavetta”, che è arrivata, con le sue forze, dove è ora.
Una leader politica che ha saputo ribadire con forza l’identità delle sue radici e delle proprie idee quando, nel 2013, fonda insieme Fratelli d’Italia, staccandosi dall’allora Popolo della Libertà berlusconiano per divergenza di vedute.
Del Cavaliere è stata per tre anni Ministro della Gioventù. E poi gli anni all’opposizione. Il suo partito fu l’unico, durante la Pandemia, a non votare la fiducia al Governo di Mario Draghi.
E infine quello storico settembre del 2022, quando portò la coalizione di Centrodestra alla vittoria delle elezioni legislative. Il 22 ottobre giura: è la prima donna Premier della storia d’Italia.
Tre anni di successi e occasioni mancate

Il bilancio che lascia Giorgia Meloni al paese, e che si appresterebbe a lasciare se dovesse arrivare a compimento della Legislatura, è quello di una maggiore presenza dell’Italia sul piano internazionale.
La Premier è rispettata e apprezzata nei briefing mondiali, con una politica estera attiva e serrata. Il Piano Mattei per l’Africa, pur con tutte le proprie criticità e dubbi strutturali, dimostra una chiara visione: risolvere a monte il problema dell’immigrazione clandestina e del traffico di esseri umani che mina la stabilità, il tessuto sociale e l’identità delle nazioni europee. Il tema della sicurezza Meloni lo sta portando nelle sedi e nelle istituzioni europee, con una Commissione maggiormente propensa, anche complice la chiara indicazione delle priorità degli elettori alle urne, ad affrontare questi dossier. La stessa cosa si può dire nei riguardi della politica energetica pragmatica e nei rapporti bilaterali con i partner mediterranei, Tunisia e Algeria in primis, in tal senso.
Visione geopolitica c’è anche nella volontà di difendere al massimo la sovranità ucraina e di trovare una soluzione giusta ed equilibrata al conflitto Israele-palestinese, senza farsi trascinare da eccessivo zelo occidentale ma senza nemmeno scadere nella retorica emotiva propria di chi non ha soluzioni fuorché amara indignazione per una guerra con radici profonde. L’impegno verso riforme interne (Giustizia, Autonomia Differenziata e Premierato) fanno ben sperare e dimostrano una volontà seria di voler lasciare un’impronta.
I dati macroeconomici sono tiepidamente positivi: riduzione della disoccupazione (che è ai minimi storici), crescita bassa ma stabile, inflazione nei limiti, produzione industriale regolare. Moody ha recentemente confermato l’outlook italiano come positivo. Politiche responsabili, discretamente positive. Un governo PD o a guida 5 Stelle o AVS avrebbe fatto sicuramente peggio di così. La manovra da soli 18 miliardi e mezzo di euro è anche frutto del Superbonus scialacquatore del signor Giuseppe Conte, che ha prodotto un buco nei conti pubblici da 200 miliardi.
Tuttavia non possiamo prenderci in giro: le ricette economiche di questo Governo sono tipiche di chi non vuole osare. Di chi ha troppo da perdere. Di chi non ha il coraggio di fare il salto di qualità necessario a passare da politico a statista. Non sono le politiche liberiste che risolverebbero i problemi strutturali di questo paese.
Giorgia Meloni rappresenta una delle maledizioni del centrodestra italiano, potrebbe dire qualche liberale di orientamento troppo centrista o troppo attaccato alla retorica perbenista tipica di certa sinistra.
Ma diversamente sarebbero i vari Tremonti, Brunetta, Craxi, afferenti all’ex PSI? Oppure gli ex democristiani come Tajani e Gasparri o il comunista padano Salvini?
Le politiche economiche di libero mercato di cui abbisogna questo paese, non hanno trovato e non trovano, purtroppo, posto sulla scena nazionale, e forse non lo faranno mai. Non esiste nessuno, né destra né al centro, davvero pronto a una rivoluzione liberista. Staccarsi dall’idea di Stato “padre e madre”, da nozioni come “denaro pubblico”, “giustizia sociale”, “benessere collettivo” è estremamente difficile in un paese dominato da 80 anni di retorica statalista come l’Italia. E non porta alcun beneficio elettorale nel breve periodo.
Il Fascismo, diretto discendente del Socialismo e del collettivismo in una delle sue forme più becere, e la reazione antifascista democratica ma parimenti legata a un concezione superata ed eccessivamente dirigista dell’economia hanno reso questa evoluzione quasi impossibile.
L’eredità che Meloni porta sulle sue spalle è troppo pesante. Ed è la stessa che qualsiasi esponente politico, in Italia, a prescindere dalle origini e dalla storia, porta. Nonostante i suoi buoni rapporti con Javier Milei e le sue strizzate d’occhio al ceto produttivo e imprenditoriale italiano, è scontato e abbastanza prevedibile che non trasformeremo il nostro sistema economico. Non con questo Esecutivo.
Nessuno a parte lei

Hanno provato ad attaccarla nella forma. Ma non hanno argomenti che attecchiscono nella sostanza.
L’hanno chiamata sessista per essersi definita “il Presidente del Consiglio” e non “la Presidente”. Hanno avuto il coraggio di dire, appena insediatasi, che “sta un passo indietro rispetto agli uomini”. Così Deborah Serracchiani, deputata PD in uno dei primi interventi di questa XIX Legislatura, in un maldestro tentativo di attacco che si è trasformato in un momento memorabile. Ci hanno provato con l’accusa di voler reprimere il dissenso per aver osato osteggiare i manifestanti violenti. Ma guai a dire una parola per i docenti “sionisti” pestati e cacciati a forza dai criminali propal nelle università.
E poi le accuse, eterne, ogni 25 aprile, di fascismo nel tentativo di demonizzare e di delegittimare Fratelli d’Italia e la destra in generale tirando in ballo un dibattito dottrinario infinito che avvelena il confronto democratico, in quanto si basa su divisioni e partigianerie da bar.
Retorica stantia, farraginosa, che non si spegne con il candidato PD di turno, laddove Elly Schlein va nei consessi del Partito Socialista Europeo ad affermare che in Italia c’è un problema di libertà d’espressione collegando indirettamente ciò al gravissimo attentato che ha subito Sigfrido Ranucci. Tacendo sulla scorta che giornali conservatori come Il Giornale e Libero hanno da mesi in seguito alle minacce di certi nuovi partigiani per alcune inchieste scomode di cui parleremo.
Di chi la insulta a reti unificate il martedì e il mercoledì parla di rispetto, di incisività, di valori nazionali. Ogni riferimento a Luciano Canfora (la chiamò “neonazista nell’animo”), Roberto Saviano (la definì “bastarda”) e Maurizio Landini (la apostrofò con il termine “cortigiana”) è puramente casuale. In questi casi non c’è sessismo. Non c’è odio di genere. Le femministe radicali tacciono oppure, in maniera delirante, trovano scusanti e fanno spallucce. Che sarà mai, è la Meloni. Peggio i complimenti di Trump degli insulti del leader della CGIL.
L’unica certezza, dopo tre anni di governo, è che la Maggioranza, al di là delle divisioni interne, dei contrasti, delle incompetenze e degli scivoloni è unita. Fa il suo lavoro. Va avanti, al di là dei personalismi, sotto l’egida di una Lady di Ferro, criticabile ma dal rispetto e dallo spessore globale innegabile.
Elly Schlein, Giuseppe Conte, Angelo Bonelli, Nicola Fratoianni, Carlo Calenda, Matteo Renzi. Il Campo Largo. L’Opposizione.
Cosa sono? Che posizioni comuni condividono? Divisi su Gaza, Ucraina, economia, energia, Green New Deal, Riarmo Europeo, Esercito Comune Europeo, sicurezza e immigrazione, politiche di welfare e sociali. Cosa pensano di fare se, nel 2027, o magari prima, si federassero e, per una questione puramente numerica, vincessero le elezioni legislative?
A sinistra pensano. Discutono. Formulano. Intanto Giorgia Meloni governa questo paese. E se questo è l’alternativa, mi sento di dire tre parole:
5 years more.

Che schifo di articolo, osannare una fascistona che non ha fatto un cazzo di niente per il nostro paese e che non ne porterà alcuno.
Cosa avrebbe fatto in questi 3 anni di buono? Cosa?
5 years more starebbe quelli che le darei di prigione e sarebbero anche pochi. Depensante! Ps. Chatgpt in questo articolo è più che palese.