Zefiro: La voce controvento

Il governo francese è caduto, di nuovo

Tra debito alle stelle, riforme impopolari e tensioni sociali la democrazia più fiera d’Europa si è inceppata. La colpa è di Emmanuel Macron

L’uomo che, come direbbe il defunto Pontefice Bergoglio, abbaia alle porte della Russia minacciando di mandare le proprie truppe in Ucraina. Il capo non eletto dei Volenterosi, il portavoce non richiesto della UE nel mondo. Emmanuel Macron, venticinquesimo Presidente della Repubblica francese, il settimo della gloriosa Quinta Repubblica nata con la Costituzione del 1958.

L’uomo del Centro di ispirazione liberal-socialista, colui che ha rivoluzionato la scena politica francese mettendo in archivio i concetti stessi di destra e sinistra politica tradizionale in seguito alla debacle de “Les Republicans” di Nicolas Sarkozy e alla deludente presidenza Hollande, che ha fatto sprofondare all’irrilevanza politica il vecchio Partito Socialista di Mitterrand. Il più giovane a ricoprire la sua carica (aveva solo quarant’anni quando venne eletto la prima volta nel 2017) ha, dall’inizio del suo secondo mandato nel 2022, accolto le dimissioni di quattro Primi Ministri. Qualcuno potrebbe obiettare dicendo: “In Francia funziona così, il loro Capo del Governo è diverso dal nostro Presidente del Consiglio, ha molto meno potere. Ciò che conta è l’abilità del Presidente della Repubblica di gestire la situazione”. In parte ciò è vero, se non fosse che tre di questi Premier dimissionari sono saliti al governo e si sono dimessi tutti nel giro di neppure un anno e mezzo. E lo scorso 8 settembre è stata la prima volta, in tutta la storia francese, che un Primo Ministro in carica è decaduto a causa di un voto di fiducia con esito negativo.

Se il Generale Charles De Gaulle, padre nobile di quella stessa Quinta Repubblica e del famoso semipresidenzialismo, sistema del tutto inedito da lui ideato e che ha fatto per anni scuola nel mondo, potesse vedere la situazione nella quale versa il suo amato paese oggi, probabilmente si vergognerebbe e si rivolterebbe nella propria tomba. 

I problemi interni della Francia

A dire il vero, le avvisaglie di una crisi in seno alla democrazia d’oltralpe, assediata da vari nemici, soprattutto interni, si avvertivano da tempo: prima il movimento populista dei Gilet Gialli, con le loro mobilitazioni che tra il 2018 e il 2019, hanno paralizzato la Francia. Poi gli scioperi generali, dei quali il sottoscritto è stato testimone in prima persona a Parigi, della primavera del 2023, quando a causa della riforma delle pensioni portata avanti dall’allora governo di Elisabeth Borne i sindacati e le associazioni di categoria hanno nuovamente fermato il paese. Immondizia per le strade vecchia di settimane, manifestazioni violente, treni inesistenti, caos sui mezzi pubblici. Più Milano anni ’70 che Parigi del XXI secolo. 

Del senso di insicurezza che da anni traspare in città come Parigi, Marsiglia e Nizza anche a causa di un multiculturalismo fuori controllo e ad ogni costo poi ci sarebbe da discutere per ore. Ancora ricordiamo i fatti del giugno del 2023, quando in seguito all’uccisione involontaria a Nanterre da parte di un poliziotto di Nahel Merzuk, ragazzo di diciassette anni di origini marocchine e algerine, in tutta la nazione sono scoppiate delle tremende sommosse ad opera di immigrati di seconda e terza generazione, con danni complessivi per 650 milioni di euro (Brussel Times), incendio di migliaia tra auto, edifici, proprietà private, abitazioni, nonché migliaia di feriti e un ulteriore vittima (Le Monde). Inoltre, in seguito al Massacro del 07 ottobre 2023 e allo scoppio della Guerra a Gaza l’antisemitismo e le discriminazioni a sfondo anti-giudaico ad opera sia di gruppi filo-palestinesi di estrema sinistra che da parte di cani solitari di fede islamica sono schizzati alle stelle, con 1600 atti di intolleranza e di odio nel solo 2024 nei confronti della terza comunità ebraica al mondo (France24), ma anche incendi di chiese e luoghi di culto cattolici, 38 solo lo scorso anno (The Spectator).

Ma soprattutto, l’elefante nella stanza, l’argomento che da liberali e liberisti, non possiamo assolutamente ignorare, ossia il disastro, in termini di performance generale, della settima economia globale, della terza del continente e della seconda dell’Eurozona. Crescita del PIL francese lenta e deludente, dello 0,6% annuo (stime Banque de France), carovita in aumento, una pressione fiscale del 46% a fronte di un debito pubblico che ha superato, quest’anno, i 3 trilioni di euro, ossia il 114% del PIL. Per fare un paragone, quello dell’eterno malato d’Europa, l’Italia, tocca il 137% del PIL (ISTAT e Banca d’Italia). Una differenza minima, ma che oltralpe pesa di più, vista l’importanza storica che Parigi ha rispetto a Roma per gli equilibri geopolitici europei ed internazionali. Il modello dello stato sociale europeo dimostra per l’ennesima volta tutto il suo anacronismo davanti ad una popolazione che invecchia velocemente, a un’immigrazione spesso incontrollata che pesa sul welfare e a un’economia, quella comunitaria, che rallenta rispetto ai veri grandi del mondo a causa di tasse, burocrazia, regolamentazioni e follie Green. Ancora una volta la nostra classe politica si ostina a inseguire il sogno di sperperare denaro altrui a costo 0, pretendendo di rimanere rilevanti in un mondo che galoppa e che non dà ascolto alle lezioncine morali di Bruxelles “perché siamo democrazie”. Tutti, da Donald Trump a Xi Jinping, da Narendra Modi a Vladimir Putin si sono resi conto della debolezza e della mancanza di incisività dell’Unione Europea…fuorché i principali leader europei. La Francia, purtroppo, è lo specchio di tale declino.

Quinta Repubblica francese o Prima Repubblica italiana?

Ma torniamo alla situazione politica tragicomica, qualcuno direbbe “all’italiana” in cui versa uno dei nostri principali alleati in Europa: dopo le Elezioni Europee dello scorso anno, nelle quali si è riscontrata un’avanzata senza precedenti sia della sinistra radicale che, soprattutto, del Rassemblement National, partito di destra euroscettico e sovranista di Marine Le Pen, e in cui La République en Marche, partito del Presidente della Repubblica, ha subito forse la sua peggiore batosta alle urne, la Francia è tornata al voto per volontà dello stesso Macron. Questi, giocando d’azzardo politicamente, è riuscito, grazie a sapienti manovre elettorali derivanti dal sistema maggioritario a doppio turno del tutto peculiare vigente oltralpe, a evitare per il rotto della cuffia il trionfo di RN. Lo ha fatto, come da manuale, appellandosi al solito, trito e ritrito spauracchio del Fascismo, del pericolo per la democrazia e per le libertà. Ha mobilitato, in maniera tacita e sottobanco, il meglio del peggio della Gauche parigina, la quale ha passato settimane a contraddire sé stessa parlando di uguaglianza, amore e inclusione urlando al tempo stesso per le strade i peggio insulti xenofobi al candidato della destra alla carica di Premier, Jordan Bardella, franco-algerino, nonché i volti del multiculturale panorama pop d’oltralpe, come il fenomeno del calcio Kylian Mbappé. Il Rassemblement National è diventato comunque il primo partito, senza però riuscire ad essere incisivo nella formazione di un governo, a causa dell’insperata avanzata dell’NFP, o Nouvelle Front Populaire, la coalizione della sinistra francese per intenderci. Più per accordi tra Macron e i leader della Gauche sui seggi, che per altro.

Ma i nodi vengono presto al pettine, si sa. E quindi, dopo aver scampato la Marcia su Parigi, dopo essere riuscito a salvare la Francia dai “fasci”, l’inquilino dell’Eliseo si è apprestato, con numeri abbastanza risicati, a passare lo scorso anno e mezzo a incaricare governicchi della durata media di cinque mesi. Prima il giovane e aitante Gabriel Attal, a capo di un gabinetto di minoranza. Giuramento il 9 gennaio 2024 dopo mesi di faticose trattative, elogiato dai nostri quotidiani per essere “il primo Premier omosessuale della storia di Francia”. Durata al governo: sei mesi scarsi. Poi il neogollista Michel Barnier, anch’esso a capo di un esecutivo di minoranza. Giuramento il 05 settembre 2024. Durata al governo: tre mesi esatti. E adesso il centrista, politico navigato Francois Bayrou, l’uomo della responsabilità, Monsieur. “teniamo i conti pubblici in ordine”. Un Monti, di fatto. l’unico a superare lo scoglio di metà anno, ma non quello della gravidanza media. Nemmeno a dirlo dopo nove mesi dal suo giuramento, il 13 dicembre dello scorso anno, ci risiamo da punto a capo. I paragoni con la nostra scena politica di metà anni ’60 si sprecano. Ritornano alla mente di tutti i governi estivi di un non meglio precisato “Centro”, nati per giochi di palazzo e non sulla base dell’espressione della volontà popolare. Il democristiano Macron, che ha una popolarità che non raggiunge il 29% secondo tutti gli opinion poll, con un paese sull’orlo del caos e della rivolta sociale, secondo le dichiarazioni dello stesso Ministro dell’Interno Bruno Retailleau, con indicatori economici che non fanno assolutamente ben sperare, in preda alle mobilitazioni della sinistra antagonista e dei sindacati, dovrebbe mettere da parte il suo orgoglio e imparare, per una volta, dal nostro paese: scelga cosa vuole essere da grande, ritrovi sé stesso e i suoi valori. La smetta di ignorare il grido di dolore che dalle città e dalle periferie di tutta la Francia giunge e che riecheggia ormai dal Regno Unito alla Germania, dove i partiti sovranisti e anti-immigrazione sono in aumento costante nei sondaggi a causa della mancanza di risposte concrete da parte di una classe politica sorda su un tema che qualsiasi statista, a prescindere dal colore politico, dovrebbe avere a cuore, ossia quello della pubblica sicurezza. 

Se vuole veramente arginare queste formazioni di destra, come dice, le faccia governare. Le normalizzi, politicamente, come ha fatto qui da noi un certo Silvio Berlusconi. Si renda conto, una buona volta, che la Seconda Guerra Mondiale è finita da ottant’anni. Che alla scusa del “pericolo nero” credono pochi rumorosi violenti che, probabilmente, ne abbisognano politicamente. 

Comprenda Macron che non può andare avanti così, barcamenandosi come eterno argine degli appestati impresentabili. È l’elettorato che comanda in democrazia, e se si ignora la sua volontà politica si pagano conseguenze amare. Con questo non si intende che il politico debba inseguire populisticamente chi vota su questioni “di pancia” come la Guerra a Gaza, dando il contentino ai manifestanti dei centri sociali e agli stranieri delle banlieu dicendo di voler riconoscere lo stato di Palestina. Significa, banalmente, capire quando il proprio disegno politico ha fallito agli occhi del popolo, facendo conseguentemente un passo indietro, oppure cambiando radicalmente rotta e strategia.

Le President si crede Le Roi

Secondo taluni Einstein disse: “la stupidità significa fare e rifare la stessa cosa attendendosi un risultato diverso”. Bene, sulla base di tale tradizione il signor Macron ha già fatto sapere a tutti che andrà avanti. Ha detto chiaramente che non ha nessuna intenzione né di recarsi ad elezioni anticipate, né di dimettersi, come gli intima di fare il comunista Melenchon (che nel frattempo incita i francesi alla rivolta sociale). 

Invocando, come fa da otto anni a questa parte in questo genere di situazioni sempre più frequenti, alla responsabilità nazionale e alla necessità, per la Francia, di una leadership moderata, responsabile e con le idee chiare, capace di risolvere i problemi del paese, il Presidente della Repubblica ha deciso di concedere l’incarico di formare un nuovo governo a un proprio fedelissimo, Sebastien Lecornu. Un suo uomo, chiamato a risolvere problemi strutturali del sistema sociale ed economico dello Stato. Impresa ardua e, oserei dire, dalla scarsa genuinità, visti gli otto anni di residenza ininterrotta di Macron all’Eliseo. Lo scenario più probabile, vista la lontananza ideologica sia dall’NFP che dal Rassemblement National, è una ripetizione, superato lo scoglio del voto di fiducia parlamentare (cosa per nulla certa, vista la malaparata dello scorso otto settembre) del copione visto finora, ossia quello di un governo-cometa necessario solo a dare una parvenza di normalità. Resistendo, se possibile, fino alle prossime Presidenziali del 2027. Il tutto mentre il proprio paese sprofonda nel baratro degli scioperi, delle tensioni sociali e della perdita di credibilità e di influenza internazionale.

Che dire, Re Emmanuel: “dopo di noi il diluvio”.

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