Zefiro: La voce controvento

La pace in Medio Oriente: una colomba americana sorvola il medio oriente

Il presidente degli Stati Uniti d’America Donald Trump, ha portato la pace in medio oriente e ha messo in difficoltà i fanatici islamici di Hamas.

E pace fu

La guerra dei due anni, scoppiata il 7 ottobre del 2023 a seguito del terribile pogrom perpetrato dai terroristi palestinesi di Hamas nei confronti degli inermi civili israeliani, è finalmente giunta al termine dopo anni di massacri alternati da qualche periodo di cessate il fuoco.

All’alba del 13 ottobre del 2025, una data che ogni essere umano munito di coscienza ricorderà per tutta la vita con gioia e commozione, quella indimenticabile mattina, il presidente degli Stati Uniti Donald Trump è atterrato con il suo aereo presidenziale, scortato da una flotta di aerei militari statunitensi, all’aeroporto Ben Gurion di Tel Aviv alle ore 08:00 ora locale.

Appena toccato il suolo israeliano, il presidente Trump si è diretto al Muro del Pianto, o come lo chiamano gli israeliani il Kotel, dove ha indossato la sua kippah personale e ha recitato una preghiera. Finito il dialogo con il Padre Eterno, il riappacificatore della Terra Santa si è recato a un incontro commovente, durato circa un’ora, con gli ostaggi rilasciati da Hamas in questi due anni di trattative intermittenti e i loro familiari, che li hanno aspettati fin dall’8 ottobre 2023 in una delle piazze principali di Tel Aviv, con fiocchi gialli sulle giacche e bandiere con sopra la Stella di David in mano.

Dopodiché il presidente Trump si è recato al parlamento israeliano, la Knesset in ebraico, dove è stato accolto calorosamente dalle due più alte cariche dello Stato, il presidente Isaac Herzog e il primo ministro Benjamin Netanyahu, accompagnati da diversi parlamentari che lo hanno guidato nell’aula dove i tre protagonisti di questa lunga storia hanno pronunciato i dovuti discorsi solenni, in cui non sono mancati i ringraziamenti alla cerchia di collaboratori dei rispettivi paesi per aver fatto l’impossibile per garantire il raggiungimento di un accordo e gli auguri per un futuro di pace e benessere per tutte le popolazioni presenti nella regione medio-orientale.

Una volta conclusa l’indimenticabile visita presso lo Stato ebraico, in cui non sono mancati incidenti a causa della protesta di due parlamentari israeliani di estrema sinistra, Ayman Odeh e Ofer Cassif, che durante il discorso del presidente Trump hanno esposto dei cartelli in cui chiedevano la fine di un genocidio, che secondo un mio parere non è mai stato perpetrato, il presidente Trump si è recato a Sharm el-Sheikh, dove è atterrato alle 17:00 circa, per la firma del trattato di pace avvenuta alle ore 18:00, con a seguire foto di gruppo.

Allo storico evento erano presenti, oltre al presidente statunitense, il presidente del Consiglio italiano Giorgia Meloni, il presidente dell’Autorità Nazionale Palestinese Mahmoud Abbas, l’emiro del Qatar Tamim bin Ham first al-Thani, il re di Giordania Abdullah II, diversi leader europei tra cui Emmanuel Macron, Friedrich Merz e Keir Starmer, il presidente degli Emirati Arabi Uniti Mohammed bin Zayed al-Nahyan, e molti altri personaggi di rilievo tra cui il presidente turco Erdoğan.



I punti caldi dell’accordo

L’accordo, già stabilito mesi fa in un negoziato di sfuggita, è basato sul rilascio di tutti i 48 ostaggi israeliani, inclusi i 12 corpi dei morti in prigionia, il disarmo di Hamas e la creazione di una leadership della Striscia di Gaza, sana e forte, composta da palestinesi onesti e democratici sorvegliati da un gruppo interforze internazionale che si occuperà della sicurezza, in cambio della cessazione delle ostilità, dello scambio di 5.000 prigionieri palestinesi detenuti nelle carceri israeliane, il ritiro parziale del 60% delle truppe israeliane presenti a Gaza, l’invio di 1.000 camion con aiuti umanitari al giorno e un piano per la ricostruzione di infrastrutture sia pubbliche che private distrutte dai bombardamenti. Da quel benedetto giorno la situazione ha subito un mutamento: i 20 ostaggi israeliani vivi sono stati rilasciati nella notte tra il 13 e il 14 ottobre; la mattina del 15 sono stati segnalati diversi festeggiamenti per le vie principali di tutte le città israeliane e non solo; Hamas ha restituito 12 corpi di ostaggi deceduti in prigionia su 28 richiesti e nel frattempo Israele ha liberato oltre 1.700 prigionieri palestinesi, inclusi i 250 ergastolani. Nei giorni seguenti Israele ha completato le operazioni di ritiro da Gaza City e le aree circostanti tranne che nel sud della Striscia, permettendo così a migliaia di civili di tornare nelle proprie abitazioni nel nord e a 600 camion di entrare nella Striscia, attraverso il valico di Kerem Shalom, per riprendere la distribuzione di cibo.



La tregua in bilico


Purtroppo non è tutto oro quel che luccica perché dal 18 ottobre Israele, mediante l’uso di droni, ha ucciso 11 palestinesi tra terroristi e civili che al momento erano situati nella zona circostante mentre Hamas da oltre cinque giorni sta massacrando i civili palestinesi accusati di collaborazionismo con Israele, attraverso esecuzioni in pubblica piazza e gambizzazioni. All’alba del 19 ottobre, il fuoco della guerra che sembrava essersi domato si è riacceso con una piccola scintilla: Hamas è tornata a mostrare la sua bestialità al di fuori della Striscia, commettendo un attentato in territorio israeliano che ha fatto innescare una reazione a Israele, il quale ha ricominciato a bombardare le postazioni di Hamas all’interno della Striscia, l’esercito dello stato ebraico si è fermato pochi giorni dopo in contemporanea al blocco del progetto, presentato dai ministri Ben-Gvir e Smotrich, per l’annessione dei territori della Cisgiordania controllati dall’ANP. Questo passo indietro per la guerra ma in avanti per la pace è avvenuto a seguito della visita in Israele del vicepresidente americano JD Vance, il quale ha affermato che in caso di annessione a Israele di territori palestinesi, il sostegno dell’America allo Stato ebraico verrebbe meno

Cosa avrà il futuro in serbo per noi

Gli incontri avvenuti rispettivamente in Israele e a Sharm el-Sheikh in Egitto, che hanno fatto ben sperare per un futuro di pace nel martoriato Medio Oriente, purtroppo sono andati vani, dispersi come sabbia nell’aria.

Il presidente Trump con la visita in Israele ha riconfermato il fatto che Israele rimane il suo principale alleato e più stabile nella regione; inoltre durante il suo discorso, Donald Trump ha lanciato diversi messaggi indiretti al presidente Herzog per quanto riguarda un’ipotetica amnistia per i processi legati al presidente Netanyahu, le cui udienze sono state rimandate a causa del conflitto.

Gli Stati arabi sunniti sono fortemente interessati a una collaborazione di tipo economico con Israele attraverso gli accordi inerenti ai Patti di Abramo, che a causa di questo ultimo attentato potrebbero tornare a scricchiolare come una vecchia porta, voluti dallo stesso Donald Trump, non solo in chiave anti-iraniana dove prevale un islam di tipo sciita ma anche per la facilitazione della cooperazione in campo infrastrutturale e di stabilità della Striscia di Gaza.

Israele attualmente si trova in un momento di transizione: per quanto riguarda la leadership dovrà subire almeno un rinnovamento per la fine del conflitto e delle spaccature all’interno della società israeliana per motivazioni politiche ma che soprattutto sta ancora risentendo delle ferite portate dalla guerra che sembra quasi interminabile. E infine Hamas con l’attentato del 19 ottobre, dietro cui vedo un’ombra oscura iraniana, ha dimostrato che è ancora potente e ben radicata nonostante il loro Allah non sia più grande come affermano, dato il numero elevato di perdite a cui l’organizzazione ha dovuto far fronte.

La vera sfida del futuro, che a seguito di quanto accaduto il 19 ottobre si complicherà ancora di più, sarà la concretizzazione di quanto firmato la scorsa settimana anche se questo dovesse implicare un’apertura e una sorta di fiducia nei confronti di partner che hanno avuto comportamenti ambigui come la Turchia di Erdoğan con determinate dichiarazioni e il Qatar che ha ospitato e ospiterà i terroristi di Hamas in esilio.

Per il momento le uniche due cose che rimangono da fare sono gioire per il ritorno a casa di tutti gli ostaggi israeliani che hanno vissuto l’inferno  dei tunnel di Hamas e pregare affinché tutto vada per il meglio per entrambi gli schieramenti in modo da garantire un futuro luminoso alle future generazioni di civili sia israeliani che palestinesi.

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